Resistenza

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In perenne tempo di pace, lo zappatore Rovelli, milite delle Truppe del Genio, Prima Compagnia, si trascinava tra la guarnigione con aria dolente e le adidas Rome bianche a righe azzurre ai piedi, per via di un ginocchio offeso che non accettava gli scarponi. Privo di fucile, perché con le scarpe da ginnastica gli scivolavano i piedi nell’atto supremo dello sparare, si era dotato di taccuino per annotare ipotetici  appunti sull’andamento delle operazioni. Incarico assunto da se stesso e che a ogni domanda di un superiore su cosa stesse facendo, rispondeva che era un ordine del tale e del talaltro, probabilmente quasi tutta gente già morta e che non avrebbe potuto smentire.
Mentre la truppa partiva per esercitazioni serissime, tipo sparare a palloncini immaginando nemici che il comando considerava agguerritissimi e pronti a invadere l’Elvezia tutta, lo zappatore Rovelli raggiungeva lo zappatore Passera, anche lui calzante scarpette civili tipo mocassino per una non meglio precisata tendinite, e assieme si recavano in cucina per una partita a carte con gli zappatori Galfetti e Galizia. Questi due con tanto di scarponi, che nella loro terra, la Valle di Blenio, sono un must da esibire anche a funerali e matrimoni, ma con le camicie slacciate e fuori dai pantaloni. In cucina poiché fuori non c’era verso di disciplinarli. Un esempio? A un colonnello che il primo giorno gli disse: Urca, che barba!, il Galfetti rispose: Ra barba ra comincia adès.
Attorno alle undici, scolati alcuni fiaschi, si mettevano ai fornelli, guidati da un cuoco vero, l’appuntato Rigozzi, che non ne ricavava quasi nulla, se non qualche patata pelata di malavoglia e la bollitura dell’acqua per i wienerli.
Il pomeriggio passava tra la noia e il riposo, fino alla sera, quando al momento dell’appello ricomparivano tutti, il Rovelli, il Passera, il Galfetti e il Galizia, pronti per la libera uscita (il Rigozzi rigovernava solerte).
Al momento del rientro all’accampamento, i quattro si mostravano alla ronda con facce da educande, rispondevano presente all’appello in camera e appena si spegneva la luce ripartivano verso le bettole e tornavano solo quando l’alba chiamava.
Altro appello, altre facce dolenti, altri saluti alla truppa che se la sarebbe vista con immaginari sminamenti, e poi, su Rome e mocassini, tornavano in cucina a vedere come stavano il Galfetti e il Galizia e se c’era mezzo di mettersi qualcosa sotto i denti.
Durata del corso: tre settimane.
Svolgimento: riuscire a non far nulla.
Risultato: rientrare alle proprie famiglie un po’ ingrassati ma guariti.

gene

Postilla
Come è stata la parata?
Bella, per un pelo non era gol!
Genio Anonimo


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